Zoff era pazzo. Trent'anni fa la parata che ha cambiato la storia

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  1. ¬Chuck™
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    Manca un minuto, forse è l’ultimo sforzo, forse è l’ultima punizione della partita, l’ultima paura. Eder che batte da sinistra, la testa bionda di Oscar che si alza tre spanne sopra gli altri e schiaccia la palla verso l’angolo basso alla sinistra di Zoff. Il resto è un secondo, due al massimo, fatto di un’infinità di istanti: noi che guardiamo la scena col cuore in gola e pensiamo “oh no, è gol!”; Zoff che vola all’indietro come un gatto; noi che pensiamo “dai che la prende!”; noi che pensiamo “oh no, gli sta scappando”; lui che la tiene sulla riga e dice a tutti, noi compresi, “no! Non è gol!”.

    Ho parlato tante volte, con amici e colleghi, di quella parata. C’è chi dice fosse speciale per la capacità del nostro capitano di prevedere gli effetti devastanti di una eventuale respinta, con tanti brasiliani lì, pronti a ributtarla dentro. Non sono d’accordo, quella parata ha origini molto più lontane. Nasce dal modo che Zoff aveva di essere portiere e dalle conseguenze che il suo essere un grande portiere comportava: la ricerca della perfezione e dell’intervento migliore possibile. Ecco ciò che un vero, grande portiere deve essere: un bastian contrario nemico del gol, colui che con la perfezione deprime l’estro dell’avversario e lo condanna all’impotenza, colui che entra in scena quando non c’è più niente da fare e tutti si aggrappano a lui come ultima speranza.

    E’ tutto condensato in quel secondo o poco più in cui noi, figli del Mundial ‘82, abbiamo visto la morte in faccia e poi gioito grazie a Zoff. Un grande portiere (non uno normale) che, forte della grandezza che gli viene riconosciuta, entra in scena quando ai compagni non resta che credere in lui, cerca un grande intervento (non un intervento normale) e uccide un grande Brasile riducendolo a un livello minimo. Contro quel mostro con la maglia grigia, che li ha privati anche di una seconda chance (la ribattuta o il calcio d’angolo), i giganti diventano piccoli, si sbracciano e invocano il gol, in un patetico tentativo di aggrapparsi a una svista, alla malafede di un arbitro, a una ingiustizia: l’esatta definizione del sentirsi impotenti.

    Chi lo ha detto che nell’eterna divisione tra portieri riflessivi e portieri folli, Zoff faccia parte dei primi? Dino Zoff era pazzo eccome! Perché solo un pazzo avrebbe provato a bloccare quel missile all’ultimo minuto della gara che vale una carriera, a un centimetro dal gol e dall’ingiustizia (ci era stato annullato poco prima un gol regolare di Antognoni). Trent’anni fa, il 5 luglio del 1982, alle ore 18:59 circa , abbiamo vissuto un secondo speciale. Quel pazzo di Dino Zoff ci ha regalato paura, sollievo, liberazione, gioia… E una grande lezione: tendere al meglio in tutto ciò che si sceglie di fare. Non sempre, forse mai riusciremo a essere perfetti come fu lui in quel magico secondo, ma saremo in pace con noi stessi, e con chi crede in noi, per averci almeno provato.
     
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0 replies since 5/7/2012, 14:27   16 views
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